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La Meteorologia dalle origini ai giorni nostri

Andrea Baroni

Da tempi immemorabili l’uomo ha sempre tentato di scoprire le cause all’origine di fenomeni atmosferici per cercare di prevederne in tempo utile il loro manifestarsi. Oggi, dietro l’insopprimibile spinta del progresso, l’uomo spera un giorno di riuscire a modificare a proprio vantaggio l’evoluzione di quei fenomeni atmosferici che si profilano nel loro sviluppo calamitosi per l’intera umanità.

(A cura del Generale Andrea Baroni)


Le origini storiche

Le origini storiche della meteorologia risalgono ai primi tentativi dell’uomo per scoprire il manifestarsi delle condizioni del tempo. Si trattava di popolazioni preistoriche dedite essenzialmente alla caccia, alla pastorizia, alla pesca e a forme rudimentali di agricoltura, tutte attività che si svolgevano all’aperto e perciò strettamente dipendenti dalle condizioni atmosferiche. In Mesopotamia ad esempio il ciclo stagionale veniva definito da osservazioni sullo stato del cielo. In Egitto, dove la prosperità dipendeva dalle variazioni annuali del livello del Nilo, il sorgere di certe costellazioni indicava i periodi di piena e quelli di siccità del loro grande fiume.

Proverbi e detti popolari, per lo più frutti di superstizioni e mitologia, riflettevano a loro modo una certa saggezza meteorologica. Quei detti popolari contenevano l’esperienza collettiva di generazioni di cacciatori, pescatori, mandriani, agricoltori, marinai. Già prima dell’era cristiana i babilonesi che vivevano nelle fertili valli del Tigri e dell’Eufrate conservavano i loro documenti meteorologici sotto forma di tavolette di argilla, una chiara testimonianza del fatto che la previsione del tempo era ampiamente praticata fin dal settimo secolo avanti Cristo. Le predizioni dei babilonesi si basavano su osservazioni di moti planetari e sui fenomeni ottici dell’atmosfera. In definitiva quelle genti volevano arrivare alla previsione dei fenomeni atmosferici ricorrendo agli stessi principi che avevano adottato per le previsioni astronomiche.
I cinesi 3000 anni fa prevedevano l’arrivo delle stagioni per mezzo delle stelle. In Grecia le conoscenze sul tempo si avvalevano di una curiosa mescolanza di mitologia e astrologia, un fatto del resto abbastanza comune tra le popolazioni più antiche. La sapienza meteorologica marinara trova precedenti significativi che risalgono al primo millennio avanti Cristo. Esiodo, ne “Le opere e i giorni”, suggerisce i migliori periodi per navigare in Mediterraneo. Più tardi, all’epoca dei viaggi in terre lontane fenici, scandinavi e arabi incominciarono a raccogliere informazioni sugli aspetti del tempo a grande scala, scoprendo così l’esistenza dei venti periodici come il monsone dell’Oceano Indiano.

La meteorologia nell’antichità classica

L’interesse per la meteorologia crebbe però in modo singolare nell’ antichità classica. Rimangono celebri i contributi di Ippocrate (460-377 a.C.) e dopo di lui quelli di Aristotele (383-322 a.C.), il primo come medico si occupò perfino delle patologie che le persone sviluppano in particolari vicende del tempo. Aristotele oltre che grande filosofo emerge perfino come studioso dei movimenti dell’aria, delle nebbie, delle temperature, di tutti quegli eventi insomma che prima di lui erano stati interpretati come espressione della volontà degli dei.
Aristotele fu in certo qual modo il primo meteorologo del mondo, basti pensare che a quel tempo arrivò ad approfondire per la prima volta una vera e propria analisi delle vicende del tempo con un’opera dal titolo “Meteorologica”che in greco sta per “studio di ciò che sta sospeso in alto”: Un’opera che suscita ancora oggi, dopo oltre duemila anni, l’ammirazione degli studiosi del mondo intero e che fino al 1600 ha rappresentato il primo tentativo di discussione organica della meteorologia.
I romani in fatto d’interessi per capire le variazioni atmosferiche non furono da meno dei greci. Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), con la sua Historia Naturalis fece testo nello studio delle variazioni atmosferiche con un’opera che ha rappresentato per tutto il Medioevo il testo classico della previsione del tempo fondata sui principi dell’astrologia. Nelle tecniche astronomiche si distinsero in modo particolare gli arabi che seppero elaborare in proposito tesi di grande pregio, condivise perfino dalla Chiesa.
Più tardi, con il moltiplicarsi degli studi in materia, si abbandonò l’idea di prevedere il tempo dal moto dei corpi celesti e ci si convinse che il ciclo delle stagioni non era regolato dal moto delle stelle bensì dal movimento della Terra intorno al Sole.

La meteorologia nell’età medioevale

Il meglio della meteorologia medioevale è rappresentato dall’opera dell’inglese William Merle, autore del primo lavoro sistematico, benché riferito a solo sette anni di registrazione di dati meteorologici quelli compresi tra il 1337 e il 1344. Il Merle oltre a ciò scrisse un trattato completo sulla previsione del tempo, rifacendosi a tutte le fonti esistenti, da Aristotele a Virgilio,da Plinio a Tolomeo.
Di osservazioni continue e ordinate sulle condizioni atmosferiche vi sono tracce interessanti nel periodo compreso tra il XIII e il XVII secolo.
Ad iniziare dal XV secolo la ricerca per le rotte dei primi esploratori, quali Cristoforo Colombo, Vasco da Gama, Ferdinando Magellano contribuì in modo essenziale alla conoscenza della distribuzione geografica dei venti e degli schemi della circolazione delle correnti marine. Quei quattro secoli di storia caratterizzarono senza alcun dubbio l’epoca delle grandi scoperte geografiche e delle esplorazioni in continenti sconosciuti, l’epoca dei libri di bordo delle navi a vela redatti con intelligenti riferimenti alle vicende atmosferiche incontrate nella navigazione.
Sul finire del quattrocento la diffusione della stampa favorì enormemente le pubblicazioni di quelle elaborazioni in migliaia di almanacchi. Celebre rimane l’almanacco di Benjamin Franklin che ad iniziare dal 1732 si incaricò di redigerlo per ben 25 anni.

Meteorologia scientifica e Meteorologia strumentale

Uno dei più illustri precursori della meteorologia scientifica è stato senza alcun dubbio Leonardo da Vinci (1452-1519) che seppe disincagliare la scienza dalle secche delle superstizioni medievali. La stagione della meteorologia strumentale ha inizio invece subito dopo l’invenzione del termometro da parte di Galileo Galilei (1564-1642), l’astronomo al quale si deve un importante impulso alla rivoluzione scientifica e che per la sua teoria della rivoluzione della Terra intorno al Sole fu condannato dalla Chiesa, in un primo tempo all’ergastolo per eresia e in un secondo momento la pena gli fu commutata -come diremmo oggi- in una sorte di arresti domiciliari. Più tardi, con l’invenzione del barometro ad opera di Evangelista Torricelli (1608-1647), l’atmosfera divenne oggetto di sempre più approfonditi studi sino ad arrivare alla elaborazione di dati quantitativi di temperatura, umidità e pressione barometrica. La diffusione dei caratteri da stampa favorì subito dopo la pubblicazione di quelle elaborazioni in migliaia di almanacchi. Al Granduca Ferdinando II di Toscana si deve nel 1653 la costituzione della prima rete di raccolta di dati meteorologici in Italia; ma in iniziative del genere si erano già distinti, nei rispettivi paesi, gli svedesi e i francesi. Un anno dopo incominciarono ad effettuarsi i primi tentativi di osservazioni meteorologiche regolari, svolte in contemporanea nelle stazioni meteorologiche di Firenze, Parma, Pisa, Vallombrosa, Milano e perfino Insbruch. In quel periodo l’interesse per la meteorologia è testimoniato dalla costituzione a livello europeo di alcune società culturali: la Royal Society a Londra, la Società Meteorologica Palatina in Germania, l’Accademie Royale des Sciences in Francia e l’Accademia del Cimento in Italia. Si può affermare che ha inizio sin da allora una collaborazione internazionale, vivissima ancora oggi a livello internazionale che non trova precedenti nella storia dell’umanità. Dal 1788 al 1876 si registrò un fiorire di attività meteorologiche in campo internazionale per lo studio il più possibile sistematico e in contemporanea delle varie vicende del tempo. Contribuì a questo sviluppo l’invenzione del telegrafo che per la prima volta dal 1843 permise al mondo intero e non soltanto agli studiosi delle vicende atmosferiche di comunicare istantaneamente anche attraverso grandi distanze geografiche in contemporanea. Fu in seguito un evento bellico che indusse gli studiosi del tempo ad organizzarsi al più presto possibile per uno scambio dei dati a livello internazionale e per una sollecita realizzazione di mappe meteorologiche a scala europea che consentissero di analizzare l’evoluzione delle situazioni meteorologiche a scala continentale e i conseguenza di prevedere in anticipo il manifestarsi di certi eventi calamitosi. L’evento bellico in questione si verificò il 14 novembre 1854 in Crimea, allorché la flotta anglo francese in guerra contro la Russia subì l’affondamento di diverse navi causa di una violenta tempesta nel Mar Nero. Purtroppo però a quella data non esisteva ancora un servizio di analisi meteorologica a scala internazionale e si scoprì così, ma troppo tardi che la tempesta che aveva attraversato appena due giorni prima parecchie regioni europee si sarebbe potuta prevedere in tempo utile sul Mar Nero.

Meteorologia operativa e previsione del tempo a scala internazionale

La pietra miliare nella storia di questo tipo di meteorologia a scala internazionale spetta alla scuola norvegese di Bergen. Una vera e propria istituzione quella di Bergen che nel 1920 rese possibile a livello operativo, l’analisi delle carte meteorologiche a scala continentale, mettendo così in evidenza e per la prima volta la struttura fisica di sistemi meteorologici fino ad allora sconosciuti. Nasce a Bergen infatti il concetto di famiglia di cicloni delle medie latitudini e nel 1930 il sistema di identificazione delle" masse d’aria" secondo le loro specifiche proprietà fisiche. Ancora oggi, malgrado i progressi raggiunti con la "modellistica numerica" e il conseguente uso dei computer per la meteorologia, la teoria dei "fronti" e quella delle "masse d’aria" della scuola di Bergen costituiscono, sia pure a livello semiempirico, l’elemento fondamentale da prendere in prima considerazione nelmanuale quotidiana delle "carte del tempo" in ogni servizio meteorologico del mondo.

La meteorologia operativa e lo studio tridimensionale dell’atmosfera

Tra il 1930 e il 1940 si sentì la necessità di uno studio sistematico degli strati superiori dell’atmosfera: in un primo momento vennero impiegati degli areostati, ma in quel decennio il crescente e rapido sviluppo dell’aviazione mondiale consentì alla meteorologia di tutti i paesi più sviluppati di costituire delle sezioni di volo per sondaggi dell’atmosfera con aeroplano. Uno speciale strumento chiamato meteorografo veniva installato, in opportuna posizione, all’esterno di un velivolo a motore in volo sulla verticale di una data località e ad una determinata ora, stabilita da norme internazionali, sino al raggiungimento della "quota di tangenza" del mezzo (a quel tempo 4 o 5 mila metri di quota). Nella salita del velivolo, a velocità costante e ben determinata il meteorografo registrava l’andamento della temperatura, dell’umidità e della pressione barometrica. I dati registrati dal meteorografo una volta elaborati a terra dopo la conclusione del volo venivano utilizzati dai meteorologi per dedurre la struttura termodinamica dell’atmosfera sulla verticale della località prescelta per il "sondaggio". La più significativa accelerazione nel modo di fare meteorologia operativa si manifestò però a pieno soltanto dopo la seconda guerra mondiale, grazie ad una migliore sinergia tra aspetti teorici e innovazioni tecnologiche che si susseguirono poi in modo impressionante nella meteorologia mondiale nel corso di questi ultimi cinquanta anni.
Tra il 1940 e il 1950 al meteorografo subentrò, con ben altre caratteristiche d’impiego, in tutti i principali servizi meteorologici del mondo, la radiosonda, uno strumento in grado di registrare in quota i dati meteorologici, di pressione, temperatura, umidità e questa volta anche di vento in direzione e intensità.
Le radiosonde, un migliaio oggi in uso sistematico in tutto il mondo, appese, ciascuna di loro ad un pallone aerostatico in salita nella libera atmosfera, trasmettono via radio ai vari centri meteorologici che le hanno lanciate, i dati meteorologici in questione, registrati dal livello del suolo sino alla quota di 30.000 metri. A quella altitudine, subito dopo lo scoppio del pallone, un piccolo paracadute riporta a terra la radiosonda.
L’ avvento simultaneo di un migliaio di radiosonde diede alla meteorologia mondiale un significativo contributo allo studio dell’ evolversi della struttura verticale dell’atmosfera. Un evento che costituì la premessa per la realizzazione di una rete intercontinentale di osservazioni meteorologiche strumentali in quota di grande ausilio nello studio tridimensionale dell’atmosfera globale.
I dati ricavati con la rete di mille radiosonde contribuì tra gli anni ’50 e gli anni ’60 allo studio sistematico della natura tridimensionale del meccanismo delle depressioni mobili delle medie latitudini e permise di capire così la interazione tra tali depressioni e gli anticicloni semipermanenti delle regioni subtropicali, di individuare le zone piovose della fascia intertropicale, ricavando indizi fondamentali per una migliore comprensione delle evoluzioni del tempo a scala emisferica.
In seguito a tali studi si svilupparono nuove teorie di analisi meteorologiche, fondate questa volta sui principi della dinamica della circolazione generale dell’atmosfera.
In questo nuovo tipo di indagini il meteorologo americano Rossby si accorse per primo dell’esistenza di certe “onde lunghe” nell’ambito di una corrente atmosferica mediamente occidentale. Il serpeggiamento di tali onde di grande ampiezza della suddetta corrente latitudinale, permise allo scienziato americano di determinare per la prima volta il grado di energia dei venti occidentali delle medie latitudini, un risultato di estremo interesse nell’ analisi scientifico- meteorologica della dinamica della circolazione generale dell’atmosfera. Un evento che costituì di per se uno degli aspetti più singolari e e di grandissimo interesse della meteorologia moderna.
Quasi contemporaneamente il meteorologo inglese Sutcliffe studiando i campi di moto a varie altitudini dell’atmosfera riuscì a trovare una correlazione di grandissimo interesse nella stretta relazione esistente tra la “divergenza” delle correnti in quota e il loro grado di “vorticità”, un fenomeno insito nei moti verticali dell’atmosfera. Le indagini compiute sulla circolazione generale dell’atmosfera dai due scienziati Rossby e Sutcliffe permisero di comprendere al meglio la “interdipendenza” tra gli strati più bassi e quelli più alti dell’atmosfera e di conseguenza di capire, da un punto di vista, questa volta puramente dinamico, lo sviluppo e l’evoluzione delle varie perturbazioni atmosferiche, un fatto di capitale importanza ed estremamente significativo della nuova meteorologia, un fatto che costituì la premessa all’applicazione, qualche anno più tardi, dei primi modelli matematici per la previsione oggettiva del tempo.

 


La scala globale della meteorologia operativa

Il complesso sistema rivolto alla comprensione di una buona parte dei meccanismi atmosferici del nostro pianeta si articola oggi attraverso osservazioni e registrazioni di 11.000 stazioni meteorologiche a terra, di un migliaio di stazioni di radiosondaggi per il rilevamento dei vari parametri meteorologici in quota, si avvale delle osservazioni meteorologiche di circa settemila navi commerciali, di quelle di alcune navi meteorologiche ormeggiate in predisposte località, delle osservazioni effettuate da 6.000 boe in mare, per la registrazione delle correnti oceaniche rivelatesi di estrema importanza in questi ultimi anni negli studi sul clima. Il sistema si estende inoltre alle osservazioni effettuate da bordo di circa tremila aeroplani, in massima parte di linea. A tale struttura fanno poi da corona sei satelliti meteorologici in orbita geostazionaria a circa 36 mila chilometri di altitudine, per osservazioni specifiche di natura meteo operativa e di cinque satelliti meteorologici in orbita polare, utilizzati in meteorologia per scopi scientifici. I satelliti meteorologici oltre a fotografare la superficie terrestre effettuano anche una sterminata varietà di misurazioni dello stato fisico dell’atmosfera, contribuendo a livello operativo, in misura determinante alla individuazione del ciclo di vita dei cicloni tropicali e in modo particolare ai fenomeni atmosferici che si manifestano sulle zone impervie del pianeta, dove non è possibile rilevare dati meteorologici avvalendosi dei metodi tradizionali. La struttura appena descritta si avvale anche di un certo numero di radar meteorologici per il rilevamento della natura fisica delle precipitazioni e in anni recenti si è dotata anche di computer ad alta capacità di calcolo per la risoluzione di previsioni meteorologiche con metodi numerici.

La circolazione generale dell’atmosfera nella meteorologia moderna

Il sistema operativo appena descritto ha permesso, come mai prima d’ora, sia l’analisi particolareggiata e a scala globale della struttura fisica dell’atmosfera, sia lo studio sistematico delle correnti di tutti i livelli superiori che tale struttura comporta, riuscendo così a determinarne, per la prima volta, la loro evoluzione a varie scadenze. Si è arrivati a capire l’importanza del serpeggiamento in onde di grande ampiezza delle correnti in quota nella determinazione dell’energia dei venti occidentali delle medie latitudini. Tutti elementi di grandissimo ausilio nelle analisi meteorologiche sulla dinamica della circolazione generale dell’atmosfera che costituisce di per se uno degli aspetti più singolari della meteorologia moderna. Gli studi recenti sulla dinamica della circolazione generale hanno permesso infatti di capire gli aspetti della natura tridimensionale del meccanismo delle depressioni mobili delle medie latitudini, di scoprire la interazione tra tali depressioni e gli anticicloni semipermanenti delle regioni subtropicali, di individuare le zone piovose della fascia intertropicale e di ricavare così indizi fondamentali per comprendere le evoluzioni del tempo a scala emisferica.

Gli elaboratori elettronici per la meteorologia

Tra gli anni ’50 e ’60 nell’Università di Princeton, ad opera di scienziati della levatura di Charney e Von Neuman, passati in seguito alla storia come i padrini della meteorologia elettronica globale, si affrontarono studi con metodi automatici di interpretazione oggettiva delle analisi delle situazioni meteorologiche su scala continentale. L’intendimento era quello di giungere alla previsione numerica del tempo a breve e a medio termine.
Fino a pochi anni prima dell’introduzione in meteorologia degli elaboratori elettronici ad opera soprattutto degli scienziati americani dell’Università di Princeton, l’analisi delle situazioni meteorologiche e le relative prognosi venivano esclusivamente condotte,come del resto abbiamo accennato nelle pagine precedenti, sulla base semiempirica della teoria norvegese della scuola norvegesedi Bergen, tale metodo però pur riuscendo a colmare un certo vuoto tra la teoria e la pratica, non ha mai consentito di svincolare del tutto dalla soggettività del meteorologo né il risultato dell’analisi né quello della previsione.
La moderna meteorologia globale ha potuto invece affermarsi sul piano della obbiettività appena è stato possibile avvalersi degli elaboratori elettronici di grande potenza, particolarmente adatti per l’esecuzione dei procedimenti di integrazione numerica delle equazioni primitive dell’idrodinamica.

La previsione numerica del tempo

Tra gli anni ’60 e ’80 il complesso di studi sulla circolazione generale dell’atmosfera ha consentito l’elaborazione di una particolare teoria sulla divergenza e sulla vorticità delle correnti in quota in grado di spiegare, da un punto di vista prettamente dinamico, l’evoluzione e lo sviluppo delle varie perturbazioni atmosferiche permettendo così, per la prima volta, l’impostazione di sofisticati modelli matematici di atmosfera, un traguardo di grandissimo interesse nella previsione obbiettiva del tempo con metodi fisico-matematici. Possiamo affermare che malgrado le leggi della fisica dell’atmosfera non siano ancora del tutto ben note è possibile formularle grazie alle leggi della meccanica e della termodinamica dei fluidi. Tali leggi potendosi esprimere attraverso particolari equazioni matematiche risolvibili per via numerica hanno dato alla meteorologia la possibilità di arrivare alla previsione obbiettiva del tempo. La risoluzione delle equazioni suddette attraverso miliardi di calcoli è stata possibile però soltanto dopo l’impiego di computer di grande potenza. Se poi si è in grado di effettuare, attraverso una particolare elaborazione elettronica una correlazione tra i dati climatologico-statistici su base almeno trentennale e i dati previsti con modelli matematici, vale a dire le analisi delle principali grandezze meteorologiche del momento e su aree geograficamente ben delimitate, la previsione oggettiva locale del tempo rappresenta davvero l’ultimo anello di una complessa catena di operazioni informatiche di tutto rispetto. Ciò accade, sia pure con metodologie di calcolo non del tutto simili, in quasi tutti i principali servizi meteorologici del mondo, compreso quello italiano. Con una procedura scientifico-matematica di tal genere la previsione meteorologica del tempo risulta del tutto svincolata dalla soggettività del meteorologo, a prescindere dalla sua preparazione e dalla sua personale esperienza di analista. In questo ultimo decennio i sistemi di previsione probabilistica hanno subito un notevole sviluppo con l’impiego di modelli numerici che tengono conto dei possibili errori attribuibili al momento della stima delle condizioni iniziali. In tal modo un "modello integrato più volte" che tiene conto di differenti condizioni iniziali produce scenari evolutivi differenti, tra questi lo scenario più ricorrente è da considerarsi il più probabile, cioè il più vicino possibile alla reale evoluzione dell’atmosfera. In altri termini la più attendibile tra le previsioni probabilistiche. Con l’uso di così alta tecnologia il meteorologo moderno svolge il ruolo di fisico quando imposta le leggi della dinamica dei fluidi, diviene matematico allorché affida all’elaboratore elettronico i calcoli delle complesse equazioni che quelle leggi richiedono e assume il ruolo di previsore quando interpreta i dati e le mappe meteorologiche fornitegli dall’elaboratore. Non c’è dunque da meravigliarsi se oggi la previsione del tempo, dietro una insopprimibile spinta di un progresso scientifico e tecnologico con pochi precedenti al mondo sia diventata addirittura una necessità prioritaria del vivere quotidiano. Ad onor del vero dobbiamo tener ricordare che le previsioni numeriche,sebbene impostate su base scientifico matematica non hanno ancora carattere deterministico, il che significa che si ha la probabilità che un certo fenomeno atmosferico si verifichi, ma non la certezza che esso si manifesti. Tutto ciò per un complesso di possibili errori derivanti dalle equazioni impiegate nel modello matematico, tutte derivate sulla base di inevitabili approssimazioni per renderle agili dal punto di vista della loro risoluzione. Altri errori possono manifestarsi nella impostazione del programma di calcolo, o da errori dovuti al rilevamento di dati, specialmente di quelli ricavati dai sofisticati strumenti imbarcatisi sui satelliti. Per quanto riguarda l’Italia non dobbiamo mai dimenticare che essa ha una struttura morfologica tra le più complesse al mondo, risultando come immersa nel bacino del Mediterraneo, interessata da due catene montuose di tutto rispetto, le Alpi che la separano dal resto dell’Europa e gli Appennini che la percorrono per tutta la sua lunghezza. Due catene che fanno da barriera alle correnti atmosferiche, da qualsiasi direzioni esse provengano, attivando talvolta una serie di situazioni diverse anche a distanza di pochi chilometri e che purtroppo possono rappresentare un elemento di disturbo a qualsiasi modello matematico di atmosfera. Malgrado queste incertezze si può tranquillamente affermare che tra tutte le previsioni numeriche quelle valide tra le 24 e le 48 ore possono considerarsi abbastanza attendibili, quelle valide da tre fino a sette giorni sono forse meno sicure, ma utilizzabili in linea di massima, quanto meno come linea di tendenza.

Roma, Gennaio 2007

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