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La neve in Emilia Romagna: fattori meteorologici favorevoli e distribuzione

La neve in Emilia Romagna: fattori meteorologici favorevoli e distribuzione

Ragazze spalano la neve

La neve, la cui formazione è legata alla sublimazione del vapore acqueo in cristalli di ghiaccio o alla solidificazione delle gocce d’acqua in condizioni di temperature sufficientemente basse sia in quota che al livello del suolo, rappresenta la principale forma di precipitazione solida e riveste particolare rilevanza alle alte latitudini e soprattutto sulle zone montane. È opinione tanto diffusa quanto errata che le zone più nevose siano le freddissime pianure siberiane e canadesi, in realtà qui la nevosità media annua varia da 40 a 90 cm contro i 1400 cm di certe catene montuose delle latitudini temperate.Il forte aumento della nevosità in montagna dipende sia dall’aumento delle precipitazioni con l’altezza, sia dalla diminuzione della temperatura, che fa aumentare il coefficiente nivometrico, cioè il rapporto tra precipitazioni nevose e precipitazioni totali; sulle Alpi, ad esempio, oltre i 3800 m di quota si registrano quasi esclusivamente precipitazioni nevose anche nella stagione estiva; al contrario, a nord del circolo polare artico, le precipitazioni, prevalentemente estive, sono generalmente a carattere piovoso, per cui il coefficiente nivometrico oscilla tra il 40% e il 60%. Quantitativi di neve sorprendentemente alti cadono sulle catene montuose prossime a zone aride o desertiche, è il caso della Sierra Nevada in California e dei Monti Wasatch nello Utah che ricevono fino a 1200-1400 cm di neve all’anno. Sull’Emilia Romagna il coefficiente nivometrico varia dal 3% della costa al 10% del crinale appenninico, la neve rappresenta quindi un fenomeno marginale, soprattutto in pianura; è tuttavia importante per molte attività che vanno dai trasporti all’agricoltura, al turismo, al prelievo di acqua potabile.

Fattori che condizionano la distribuzione della neve

L’altitudine rappresenta, anche nella nostra regione, il fattore più determinante: la diminuzione di temperatura di circa 6°C ogni 100 m di quota, fa aumentare rapidamente il coefficiente nivometrico; il rilievo determina inoltre precipitazioni più abbondanti a causa del sollevamento forzato delle masse d’aria umida con conseguente condensazione; soprattutto quando i venti spirano da Nord-Est, perpendicolari alla catena appenninica, l’effetto di sollevamento dei fronti si manifesta in questo caso anche sulle zone pedemontane sopravento ai rilievi. La disposizione del rilievo determina poi la maggiore o minore esposizione alle masse d’aria di diversa provenienza che possono favorire o sfavorire la nevosità. L’abbondanza delle precipitazioni nevose è generalmente connessa alla continentalità, mentre la vicinanza del mare rappresenta un fattore inibitore per la maggior mitezza del clima durante la stagione fredda.

Situazioni meteorologiche favorevoli

Varie possono essere le situazioni meteorologiche che portano precipitazioni nevose sulla regione, le nevicate di una certa rilevanza sono però legate sostanzialmente a tre modelli di tempo. Il primo, e più importante, è legato a circolazioni depressionarie chiuse posizionate sulle regioni centrali italiane con concomitante afflusso di aria fredda al suolo da Nord-Est, e di aria calda in quota dai quadranti meridionali; in tale situazione si verificano precipitazioni abbondanti su tutta la regione, e in particolare sull’area montana e pedemontana che risente dell’azione di sollevamento delle masse d’aria prodotta dalla catena appenninica; la temperatura si mantiene bassa a causa dell’aria fredda al suolo, per cui le precipitazioni risultano spesso a carattere nevoso nei mesi invernali, anche nelle zone di pianura. La seconda situazione è legata ad afflussi di aria calda e umida in quota in scorrimento su uno strato di aria fredda preesistente, ciò si verifica quando l’anticiclone freddo si ritira cedendo il passo a una saccatura atlantica; questo tipo di tempo è il più propizio alle nevicate sulle Alpi e sulle zone prealpine, che risentono maggiormente dell’azione di sollevamento prodotta dall’arco alpino stesso sui venti meridionali; le nevicate possono estendersi all’Emilia Romagna se le temperature al suolo e in quota lo consentono, in tale situazione risultano comunque più probabili sul settore occidentale della regione e alle quote appenniniche. La terza situazione è legata a irruzioni di aria di origine artica da Nord o da Nord-Est, che interessano le regioni adriatiche nella stagione invernale, in tali situazioni si possono avere nevicate e rovesci di neve più frequenti sulla Romagna dove possono interessare anche le zone costiere.

Aspetti previsionali

La previsione della neve è sempre piuttosto difficile poiché tali precipitazioni avvengono sempre con temperature prossime allo zero; basta quindi una variazione di pochi gradi per trasformare la neve in pioggia o viceversa. La situazione limite per la caduta di neve in fiocchi è la presenza dello zero termico entro i primi 300 m di quota, e una temperatura al suolo non superiore a +2°C, ne consegue che è più probabile la neve, se davanti al fronte perturbato in arrivo, le temperature sono inferiori a +2°C. In realtà occorre anche tenere presente la natura del fronte (caldo o freddo) e la sua intensità: un fronte caldo può portare infatti un aumento di temperatura eccessivo, tale da determinare la fusione della neve prima che raggiunga il suolo o la sua mancata formazione in quota, al contrario un fronte freddo seguito da aria di origine artica può portare diminuzioni di temperatura molto marcate e difficilmente quantificabili con precisione in fase di previsione. Ne consegue che, mentre è relativamente facile prevedere cadute di neve alle quote montane, dove le temperature sono sempre basse, assai più difficile è la previsione sulla pianura dove, tra l’altro, le frequenti inversioni termiche al suolo possono determinare temperature molto vicine allo zero o addirittura negative, davanti al fronte avanzante, senza che la precipitazione assuma poi carattere nevoso, se durante la caduta la neve ha incontrato strati di aria calda sufficientemente spessi da farla fondere. Va poi ricordato che il processo di nefogenesi fa raffreddare lo spazio sottostante le nubi, facendo abbassare di quota lo zero termico, per cui può capitare, soprattutto nel caso di precipitazioni intense, che il fenomeno inizi a carattere piovoso con temperature relativamente alte, poi si trasformi in nevoso se la temperatura scende al disotto di +2°C. Sulla regione, e in particolare in pianura, sono frequenti le cadute di neve con temperatura superiore allo zero, le piogge miste a neve e il nevischio, neve di consistenza granulosa parzialmente fusa.

Nevosità media annua

Secondo i dati forniti dal Ministero dei Lavori Pubblici relativo al periodo 1921-1960, sul territorio regionale il valore minimo, inferiore a 10 cm, si riscontra nella zona del delta padano, più lontana dai rilievi, esposta agli influssi marini e alle correnti sciroccali; tutta la fascia costiera riceve, comunque, apporti nevosi inferiori o uguali a 20 cm; mentre però a Sud la nevosità aumenta rapidamente procedendo verso l’interno per effetto dei rilievi, a Nord, lungo l’asse padano, la curva di livello di 20 cm taglia la città di Ferrara, ne consegue che Rimini riceve lo stesso apporto nevoso di Ferrara, pur godendo di un clima marino, più mite. La nevosità aumenta poi regolarmente spostandosi verso Sud-Ovest, le zone di pianura che ricevono i massimi quantitativi di neve sono quelle pedemontane occidentali con valori compresi tra 40 e 50 cm all’anno e punte di oltre 75 cm nella zona di Sassuolo e Vignola, nel modenese. Piacenza, Parma, Reggio, Modena e Bologna ricevono tra i 40 e 50 cm di neve all’anno, Imola, Faenza, Forlì e Cesena, tra i 30 e i 40. I valori salgono poi con regolarità passando dalla fascia collinare a quella montana; valori intorno ai 150 cm si riscontrano sia sull’alto Appennino piacentino e parmense, che su quello forlivese, valori maggiori si registrano sulle sezioni più elevate dell’Appennino reggiano e modenese, dove in corrispondenza dei monti Cimone e Cusna, si superano i 250 cm, massimo regionale. In pianura la neve rappresenta un fenomeno assai irregolare, si alternano annate nevose e altre in cui la neve si presenta solo in alcune zone e sporadicamente; sull’Appennino, invece, il fenomeno è ricorrente durante tutta la stagione invernale quando, oltre una certa quota rappresenta la forma di precipitazione prevalente, anche se, in condizioni di persistente scirocco, non mancano fenomeni piovosi anche ad alta quota; il fenomeno è concentrato da Dicembre a Marzo con i valori massimi tra Gennaio e Febbraio. È interessante osservare come le località poste intorno ai 1000 m di quota ricevano spesso quantitativi di neve superiori alle località poste alla medesima quota delle zone alpine: a Sestola e al passo del Cerreto cadono circa 230 cm di neve all’anno contro i 200 di Cortina, i 190 di Bormio, i 100 di Cavalese e i 95 di Vipiteno.

Frequenza e durata media del manto nevoso

La frequenza delle precipitazioni nevose, intesa come numero di eventi nell’arco dell’anno, ricalca l’andamento della nevosità media, presentando un minimo inferiore a 2 giorni sulla costa ferrarese e un incremento graduale procedendo verso Sud-Ovest, con oltre 6 giorni sulle zone pedemontane emiliane; l’incremento diventa poi molto rapido salendo di quota fino a superare i 20 giorni sull’alto Appennino. Nel decennio 1960-1969 si è registrata una frequenza media di 3.4 giorni a Bondeno, 3.9 a Ferrara, 4.6 a Bologna, 5.4 a Piacenza e 5.7 a Parma. Negli ultimi decenni si è verificata una frequenza assai disomogenea, in particolare negli anni ‘70 si è avuta una forte riduzione del fenomeno: ad Albinea (RE) si sono registrati quasi sempre valori inferiori alla media e, nell’inverno ‘74-’75, non è mai nevicato; tale andamento trova conferma nei dati relativi alla stazione di Bondeno (FE), dove gli anni senza neve furono addirittura 7. Più nevosi sono stati gli anni ‘80 con valori ampiamente superiori alla media dall’83 all’86. L’irregolarità pare fosse normale anche nel secolo scorso, quando a Reggio Emilia, negli anni ‘80, si ebbero ben tre inverni consecutivi senza neve, dal 1887-’88 al 1889-’90.In pianura i valori variano da un minimo inferiore a 10 giorni sulla costa fino ad oltre 25 giorni sulla fascia pedemontana occidentale; la durata aumenta poi rapidamente salendo di quota, a 1300 m si riscontrano valori intorno a 100 giorni con punte di 130-140 sulla sezione più elevata tra le province di Reggio, Modena e Bologna. Anche per questo parametro può interessare un confronto con le Alpi, dove alla quota di 1300 m il manto nevoso dura circa 110 giorni sul settore orientale e occidentale, e 130 giorni su quello centrale. Sull’alto Appennino, il manto nevoso si stabilizza alla fine di Novembre e dura fino a primavera inoltrata, raggiungendo il massimo spessore, tanto più avanti nel tempo quanto più elevata è la quota: di solito, infatti, il massimo innevamento coincide con i mesi più freddi solo a bassa quota, mentre più in alto si registra in primavera, quando le precipitazioni sono più frequenti, anche se sono ormai piovose a bassa quota. Le condizioni di persistente e inteso scirocco, che portano alte temperature e pioggia anche alle alte quote, e i venti caldi e secchi di ricaduta da Sud-Ovest (foehn appenninico), determinano, anche in pieno inverno, una rapida fusione del manto nevoso, con ripercussioni sulla portata dei corsi d’acqua. In pianura non esiste invece, di norma, un periodo continuo di copertura nevosa, salvo rare annate particolarmente nevose: le nevicate possono presentarsi da Dicembre a Marzo ed eccezionalmente in Novembre e Aprile e generano manti nevosi sottili e fortemente condizionati dall’andamento meteorologico del periodo successivo alla precipitazione; di solito le nevicate consistenti che cadono dalla fine di Dicembre alla metà di Febbraio generano manti nevosi più durevoli a causa delle basse temperature e dello scarso soleggiamento, nelle annate particolarmente nevose viene incrementato da nuove precipitazioni. Negli ultimi decenni si sono avuti solo sporadicamente periodi con neve al suolo per più di 20 giorni consecutivi; nella zona di Reggio Emilia si sono registrate le seguenti durate del “più lungo periodo di innevamento”: 21 giorni nel ‘68-’69, 27 giorni nel ‘70-’71, 22 giorni nel ‘79-’80, 31 giorni nell’86-’87, eccezionale fu l’inverno ‘84-’85 con ben 44 giorni consecutivi col suolo coperto di neve. Quando le nevicate, anche abbondanti, si presentano all’inizio o alla fine della stagione, generano manti nevosi che scompaiono rapidamente.

Per gentile concessione di AER. Pubblicato nel Dicembre ‘94 da Marco Pifferetti, “La climatologia delle precipitazioni nevose sulla pianura padano-veneta” (AER 12/92); Ministero dei Lavori Pubblici, Consiglio Superiore Servizio Idrografico, “Carta della precipitazione nevosa media in Italia nel quarantennio 1921-1960”; Adolf Schneider Wetter und bergsteigen, “Guida al tempo in montagna”; Alan Watts, “Previsione del tempo a terra e in mare”; Pinna, “Climatologia”; Department of Agricolture-Forest Service (U.S.A.), “Avalanches handbook”; Giuliacci, “Climatologia fisica e dinamica della Valpadana”; Tassinari Merlanti, “L’ evento neve a Ferrara”, (AER 2/92).

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