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SUGLI EVENTI ESTREMI TRA CANADA, GERMANIA E PAESI BASSI

Scritto da Andrea Corigliano Domenica 18 Luglio 2021 07:00

SUGLI EVENTI ESTREMI TRA CANADA, GERMANIA E PAESI BASSI

Blocco a omega e omega rovesciatoDesidero scrivere qualche considerazione sugli ultimi eventi estremi che sono prepotentemente saliti agli onori delle cronache nelle ultime tre settimane, partendo dal caldo sensazionale che ha interessato il Canada occidentale a fine giugno per finire alla disastrosa alluvione che ha colpito la Germania e i Paesi Bassi in questi giorni.

Non è ormai una novità che, ogni volta in cui la dinamica atmosferica presenta fenomeni così violenti e così fuori dal comune, si finisca inevitabilmente per considerare il cambiamento climatico tra i responsabili di quanto accaduto. Perché gli studiosi del clima arrivano spesso a trarre queste conclusioni, pur sapendo che il “tempo” e il “clima” camminano su binari temporali diversi e che quindi non possono essere confusi spiegando le dinamiche del primo con il trend del secondo? Cerchiamo di spiegarlo in modo che si possa comprendere questo concetto, non semplice da esporre a chi non è particolarmente ferrato in materia ma di notevole importanza per lo sviluppo necessario della nostra cultura in questo campo che ci aiuterà sempre più a capire questi avvenimenti. Partiamo con il dire che la dinamica atmosferica che sta alla base dei due eventi, quello americano e quello europeo, è una configurazione di blocco avente natura diversa. Quando in meteorologia si parla di “blocco” si intende un disegno barico impostato dai centri di alta ( A ) e di bassa ( B ) pressione che, come suggerisce il termine, lascia inalterate per diversi giorni le condizioni meteorologiche di una regione.

Se il blocco è “a omega” abbiamo una successione B-A-B che nel nostro emisfero pompa aria calda da sud verso nord e va a gonfiare come un pallone aerostatico il promontorio che sta in mezzo al disegno, cioè il campo centrale di alta pressione la cui forma ricorda proprio la lettera “omega” dell’alfabeto greco: sono queste le condizioni più favorevoli alle ondate di calore che, proprio per la natura statica della configurazione, possono diventare anche intense e persistenti. Se invece il blocco è “a omega rovesciato”, abbiamo una successione A-B-A, con al centro del disegno una saccatura ricolma di aria più fresca rispetto alle aree circostanti.

La dinamica dell’atmosfera ci insegna ora che queste configurazioni, caratterizzate da creste (promontori) e cavi (saccature) di onde in evoluzione da ovest verso est, si formano quando la corrente zonale portante in alta troposfera rallenta la sua velocità. Quando ciò accade si dice allora che l’onda diventa stazionaria e quindi, di pari passo, si bloccano anche le creste e i cavi che le danno forma, con tutto ciò che ne consegue sullo stato del tempo nelle aree che si trovano al di sotto della cresta-promontorio o del cavo-saccatura: nel primo caso il tempo è stabile e caldo, nel secondo è instabile e fresco. Come entra ora il “cambiamento climatico” in questo discorso? Ci sono studi in merito che mostrano come, poiché in seguito al riscaldamento del pianeta le latitudini artiche si sono riscaldate molto di più rispetto alle medie e alle basse latitudini, risulti più frequente rispetto al passato la formazione di queste configurazioni di blocco: se infatti viene meno il gradiente termico orizzontale nord-sud, cioè se si inceppa il motore che conferisce la spinta alla corrente occidentale che fa correre le ondulazioni planetarie (o di Rossby) sul nostro emisfero, è inevitabile avere più casi rispetto al passato di una dinamica atmosferica maggiormente propensa a rallentare il proprio moto e a costruire queste situazioni bloccanti. Detto in altri termini, viene meno la variabilità meteorologica che contraddistingue il tempo delle nostre latitudini.



Nel caso dei “blocchi a omega”, la stazionarietà dello stato del tempo legata al promontorio fa aumentare le potenzialità delle ondate di calore. Le anomalie straordinarie della circolazione atmosferica portate da queste situazioni si misurano infatti con gli effetti che si riversano sulla temperatura nei bassi strati. In questi casi le temperature tendono a superare i record di caldo non solo in modo diffuso, ma anche in modo continuativo e segnando come risultato finale uno scarto notevole rispetto al vecchio record.

Per esempio a Lytton, nella Columbia Britannica, a fine giugno il vecchio record locale di 44.4 °C fu superato per tre giorni di seguito con 46.6 °C, 47.9 °C, 49.6 °C e il nuovo ultimo record differì da quello storico registrato nel 1941 di oltre 5 °C. Un’assurdità. O meglio, un qualcosa di nuovo che si è presentato per la prima volta davanti ai nostri occhi per quell’area. A dirci che ciò che ritenevamo impossibile ora è diventato possibile ci pensa la statistica. Ragionando infatti in termini di deviazioni standard, cioè guardando come i dati di una località si distribuiscono attorno alla media climatologica senza citare il valore della media stessa, il caso di Lytton ha dimostrato secondo gli scienziati che quel caldo così anomalo si è posizionato ben al di fuori delle 3 deviazioni standard (sigma), cioè entro l’intervallo al cui interno si costruisce la curva climatologica riferita a questa località (linea blu). In altre parole, se entro le tre deviazioni standard sono contenute quasi tutte le temperature massime registrate che compongono la climatologia delle temperature massime di Lytton (per l’esattezza il 99.73%) non sarà difficile comprendere che, poiché i quasi 50 °C rappresentano non 3 ma ben 5 deviazioni standard rispetto alla media, siamo ora di fronte a un dato termico che fa parte di un nuovo clima perché quel dato è qualcosa di impensabile per la vecchia statistica climatica. Seguendo lo stesso procedimento, gli scienziati a suo tempo dimostrarono che per esempio non appartenne al clima estivo europeo la calura eccezionale dell’estate del 2003 perché si posizionò 3.5 deviazioni standard oltre la media climatologica. Stessa sorte per l’estate russa del 2010 che si posizionò 4 deviazioni standard oltre la media.

Forti contrasti fra masse d'aria calda e freddaAnche quelle due estati furono caratterizzate da una configurazione di blocco ripetitiva e tenace. Diciamo allora che in quei 49.6 °C di Lytton, così come nell’estate europea del 2003, o in quella russa del 2010, o ancora per tutti quei casi in cui un record di caldo locale o una fase di caldo eccezionale alla mesoscala si supera con valori che vanno oltre le tre deviazioni standard del clima della località o dell’area interessata dall’evento “caldo estremo”, c’è lo “zampino” del cambiamento climatico perché c’è un cambiamento di uno stato del clima che non è più quello degli ultimi 30-50 anni. Per quando non sia corretto spiegare quindi l’eccezionalità di un singolo valore tirando in ballo il riscaldamento del pianeta, diventa possibile farlo se si rapportano al comune denominatore tutti gli eventi estremi che diventano veri e propri “dati aberranti” rispetto a una climatologia che non è più in grado di spiegarne l’anomalia. In questo caso, il comune denominatore è la predisposizione della dinamica atmosferica a proporre più spesso queste situazioni di “blocco a omega” perché la corrente portante che accompagna le onde planetarie a spasso per l’emisfero presenta più “cali di tensione” rispetto al passato per via, come detto, di un Artico che è diventato troppo caldo. Insomma, il comportamento statistico dei dati dimostra che l’atmosfera sta mettendo sul piatto più occasioni per creare situazioni inusuali.

Allo stesso modo, possiamo ricondurre allo stesso denominatore gli eventi di precipitazione estrema, anche se in questo caso l’associazione è più difficoltosa perché qui entrano in gioco anche i modi in cui si ripartisce nelle dinamiche atmosferiche l’energia che è stata precedentemente accumulata. Se infatti un’onda di calore è un evento esteso che converge le proprie potenzialità nel fare aumentare la temperatura del luogo interessato, un evento alluvionale che nasce in seguito a piogge estreme è più localizzato e si sviluppa dalla conversione del calore che può essere utilizzato non solo nella formazione delle stesse piogge violente, ma anche nella forza dei moti convettivi, nelle grandinate e nella furia del vento: basti pensare per esempio a ciò che è in grado di produrre un violento temporale.

Al di là di questo, però, ci sono elementi che danno credito agli scienziati quando affermano che in un “clima più caldo aumenta il contenuto di vapore acqueo in atmosfera e quindi aumenta la probabilità che si verifichino piogge eccezionali”. Ciò che è accaduto in Germania è in parte spiegabile facendo riferimento proprio a questo principio. Sappiamo infatti che una massa d’aria calda, rispetto ad una di aria fredda, è capace di contenere una maggiore quantità di vapore acqueo e che, in generale, questo contenuto aumenta del 7% per ogni grado di aumento della temperatura: per esempio, a 15 °C i grammi di vapore acqueo per chilogrammo di aria secca sono al massimo 10 e a 30 °C diventano al massimo 26. Se la stazionarietà di una goccia fredda permette che la medesima figura barica sia in parte alimentata da una massa d’aria che sulla quota isobarica di 850 hPa è stata anche di 10-14 °C più calda del normale, significa allora che la stessa figura barica ha avuto a disposizione più vapore acqueo per costruire nubi e precipitazioni proprio per questo principio.

Il passaggio di una goccia fredda non rappresenta di per sé un evento eccezionale nella stagione estiva perché si tratta pur sempre di una dinamica che fa parte dei possibili scenari meteorologici che si possono verificare in questo periodo dell’anno poco incline al passaggio di sistemi frontali organizzati, ma a fare la differenza in questo caso è stato il blocco della figura operato dalle figure anticicloniche ai lati che hanno esacerbato la fenomenologia ponendo le condizioni ideali affinché l’atmosfera potesse attingere energia in termini di calore sensibile (per via dell’anomalia termica presente) e latente (per via dell’ingente quantitativo di vapore acqueo risucchiato all’interno dalla colonna troposferica). In conclusione: non è scientificamente corretto scrivere l’equazione “evento estremo = cambiamento climatico”, ma è invece corretto ritenere che eventi di questo tipo possono essere ricondotti alle conseguenze portate da un’alterazione della circolazione atmosferica che risente inevitabilmente di uno stato termico globalmente alterato rispetto al recente passato. Ricordiamoci infatti che il problema non è il clima che cambia, ma la rapidità con cui questo processo è avvenuto e sta avvenendo.

Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche alla pagina di Meteorologia Andrea Corigliano a questo link. Grazie e buona lettura!

Andrea Corigliano, fisico dell'atmosfera


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