IL PROMONTORIO NORD AFRICANO: CARATTERISTICHE FISICHE ED EFFETTI SUL NOSTRO TEMPO METEOROLOGICO
IL PROMONTORIO NORD AFRICANO: CARATTERISTICHE FISICHE ED EFFETTI SUL NOSTRO TEMPO METEOROLOGICO
Quando parlo delle ondate di calore provenienti dall’entroterra sahariano, nei miei articoli faccio sempre riferimento al «promontorio nord africano in quota» per presentare ai lettori la figura barica che ne è la responsabile: in estate, in modo particolare, non parlo mai di «anticiclone nord africano». Il motivo di questa scelta risiede nella struttura di questo campo barico che, in quota, appartiene alla fascia delle alte pressioni subtropicali proprio come l’Anticiclone delle Azzorre. Mentre però l’alta pressione oceanica presenta una circolazione oraria a tutte le quote, quella nord africana nei bassi strati è di fatto una «bassa pressione termica»: in altre parole, sull’entroterra sahariano è presente al suolo una figura di bassa pressione che è sormontata da una figura di alta pressione. Per quale motivo?
La bassa pressione termica si forma per l’eccessivo calore che viene accumulato dal suolo desertico intensamente riscaldato dalla forte radiazione solare. È noto infatti che il calore ha un potere dilatante e di conseguenza una massa d’aria che subisce un’espansione termica tende a occupare il massimo volume che ha a disposizione e determina inevitabilmente un calo della pressione atmosferica all’interno del volume occupato. Basta però salire di poche centinaia di metri e quindi allontanarsi dalla sorgente di calore per trovare la circolazione anticiclonica della struttura alle diverse quote isobariche, come a 850 hPa e a 500 hPa che corrispondono rispettivamente a circa 1500 metri e a circa 5500 metri in atmosfera standard.
È proprio per questo motivo che risulta più corretto parlare di «promontorio nord africano in quota» e non di «anticiclone nord africano»: per semplificare si usa spesso la seconda dicitura perché, in fin dei conti, gli effetti che si hanno sul tempo del Mediterraneo dipendono da una struttura barica che in quota corrisponde ad un’area di alta pressione e che quindi si comporta come tutte le aree di alta pressione: comprimere la massa d’aria verso il basso, stabilizzando la colonna d’aria, riscaldandola per compressione e ponendo le basi per creare una «bolla di calore», di cui abbiamo parlato in un recente articolo. Sono proprio questi moti discendenti a far sì che sul Mediterraneo e sull’Italia la pressione al livello del mare sia un po’ più elevata rispetto all’entroterra sahariano e quindi a formare una «bozza» di circolazione anticiclonica mediterranea: d’altro canto, la superficie marina è più fredda rispetto a quella sahariana e non è quindi fisicamente possibile il mantenimento della bassa pressione termica su un mare che è più freddo della terraferma.
Può quindi anche esserci un accenno di anticiclone mediterraneo al livello del mare certamente non strutturato come quello delle Azzorre, ma gli effetti che questa struttura barica ha sul tempo dell’Italia sono legati esclusivamente al trasporto verso le nostre latitudini di aria subtropicale continentale perché l’espansione del promontorio nord africano in quota è stimolato in questa dinamica da uno scambio meridiano di correnti: se c’è aria fredda che scende in pieno Oceano Atlantico perché pilotata da una struttura di bassa pressione presente in loco, ci deve essere aria calda che sale dal deserto verso le nostre latitudini e che va a gonfiare come una mongolfiera le superfici isobariche che si trovano sulla verticale del Mediterraneo centro-occidentale.
Avere quindi una struttura anticiclonica ben salda in quota con geopotenziali che arrivano anche a 6000 metri a 500 hPa e avere un trasporto di aria estremamente calda con isoterme anche superiori a 25 °C a 850 hPa vuol dire che l’unica figura anticiclonica responsabile delle ondate di calore anche estreme, proprio come quella che sta vivendo la maggior parte della nostra penisola, è il «promontorio nord africano in quota». Non si può infatti arrivare a registrare temperature di 40-45 °C in prossimità del suolo e in modo particolare nelle aree interne se la massa d’aria trasportata in quota – e sottoposta successivamente a compressione dai moti anticiclonici – non è di estrazione sahariana perché è fisicamente impossibile raggiungere quei valori con una massa d’aria tipica delle nostre latitudini.
Nel momento in cui poi la stessa massa d’aria molto calda si umidifica a contatto con la superficie marina e con i suoli vegetati, si creano le condizioni per immettere nel marchingegno atmosferico moltissima energia potenziale che può essere messa a disposizione per formare temporali di forte intensità, con grandinate devastanti a causa della notevole dimensione dei chicchi che possono superare anche i 6-7 centimetri di diametro: le stesse dimensioni sono tra l'altro espressione delle forti correnti ascensionali del temporale che devono vincere la forza peso del chicco per mantenerlo in quota senza farlo cadere con velocità ascensionali che superano anche i 100 chilometri orari. Anche le ultime cronache arrivate dal Nord-Est ci danno l’ennesima dimostrazione di quanto sia alto il prezzo da pagare ogni volta che si verifica un’ondata di calore portata dal promontorio nord africano in quota e quindi tutte le volte in cui non ci sia l’Anticiclone delle Azzorre a tenere a bada la massa d’aria rovente che soggiorna sull’entroterra sahariano.Foto a destra: fonte Meteo Bassano e Pedemontana del Grappa
Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche alla pagina di Meteorologia Andrea Corigliano a questo link. Grazie e buona lettura!
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Andrea Corigliano, fisico dell'atmosfera