Le calamità atmosferiche verificatesi in questi ultimi anni in molte parti del mondo, che hanno provocato immense devastazioni e spesso perdite di vite umane, rappresentano, secondo gli esperti, inequivocabili segni di anomalie climatiche su vasta scala, mai così accentuate nel corso degli ultimi secoli. La comunità scientifica internazionale da oltre un decennio sta studiando con crescente interesse quei mutamenti climatici che sembrano deviare così clamorosamente dalle fluttuazioni ordinarie, tanto da far ritenere che ci si trovi dinanzi ad una vera e propria estremizzazione del clima della Terra. Malgrado le incertezze scientifiche ancora esistenti sui ruoli giocati dall'uomo nel sistema atmosferico, i risultati degli studi condotti dai principali centri di ricerche sulle variazioni del clima, pur non essendo tra loro del tutto identici, vanno però nella stessa direzione e mettono in evidenza i sintomi di un cambiamento a scala globale che potrebbe raggiungere proporzioni assai vaste tra 50 e 100 anni, con un cambiamento caratterizzato da una forte accelerazione dei fenomeni a partire dall'inizio del prossimo millennio.
Il clima della Terra costituisce un sistema dall'equilibrio così delicato che le sue variazioni nello spazio e nel tempo talvolta sembrano avvenire per il cieco intervento del caso, ma in realtà esse sono il risultato sia delle variazioni nell'attività del Sole, sia delle complesse interazioni che avvengono tra l'atmosfera, gli oceani, il ghiaccio, la crosta terrestre e la biosfera - vale a dire quella parte del nostro pianeta (atmosfera inclusa) nella quale si riscontrano le condizioni indispensabili alla vita animale e vegetale. Si tratta per l'esattezza di una moltitudine di fattori, non ancora del tutto ben conosciuti, che concorrono ai cambiamenti climatici. Alcuni potrebbero essere spiegati con il mutamento della geografia terrestre a causa della deriva dei continenti, ma tali cambiamenti non spiegano però le variazioni climatiche verificatesi in tempi relativamente brevi nella storia della Terra, cioè nel corso di poche centinaia di anni.
Il quadro climatico attuale può avere, grosso modo, cinque milioni di anni: un periodo breve se si tiene conto che la Terra conta circa quattro miliardi e mezzo di anni. Quello che appare più certo è che l'attuale geografia del pianeta ha avuto un peso notevole nel dar vita a epoche glaciali, separate da periodi interglaciali di minore durata e leggermente più caldi. Il ghiaccio presenta un ritmo ciclico secondo il quale in un primo tempo avanza, instaurando un'era glaciale della durata di circa 100.000 anni, poi si ritira, lungo un periodo che dura all'incirca 10.000 anni, dando vita questa volta ad un'era interglaciale. La più recente fase di glaciazione, non l'ultima, dovendo tenere conto anche della piccola era glaciale del XVII secolo, ebbe fine 10.000 anni fa.
Il periodo più caldo della recente era interglaciale ha avuto luogo circa seimila anni fa e in quella circostanza, a causa dello scioglimento dei ghiacci, il livello marino superava di due o tre metri quello attuale. Considerando che sono ormai trascorsi i 10.000 anni dell'era interglaciale, se l'andamento ciclico del ghiaccio dovesse continuare a valere, secondo la linea di tendenza a cui abbiamo fatto cenno, e se nelle variazioni del clima non intervenissero le modifiche imputabili alle attività umane - cosa molto improbabile - la prossima era glaciale, per cause naturali, potrebbe avere inizio da oggi in qualsiasi momento -tenendo presente però che un momento nella vita del pianeta può considerarsi un lasso di tempo anche di 1000 anni. Tra le cause naturali che hanno inciso sulle vicende climatiche che si sono svolte nell'ambito di migliaia di anni si è sempre pensato a fatti di ordine astronomico, che vedono protagonista in primo luogo il Sole, il cui potere di emissione cambia nel tempo determinando di conseguenza possibili variazioni d'insolazione della Terra.
In questi ultimi due secoli la temperatura media della Terra è aumentata da tre decimi a sei decimi di grado centigrado. Questo incremento termico è da attribuire non soltanto alle variazioni dell'attività del Sole, ma anche ad un aumento della concentrazione dell'anidride carbonica nell'atmosfera che ha raggiunto livelli mai toccati prima dell'inizio del secolo scorso. Un chiaro segno questo di quanto possano incidere le attività umane nel regime naturale dei cambiamenti climatici. All'inizio dell'era industriale la concentrazione di anidride carbonica nell'aria era di 280 parti per milione in volume, nel 1980 era divenuta di 335 parti per milione. Nel 2025 la concentrazione di anidride carbonica nell'aria potrebbe raddoppiare il valore che aveva all'inizio dell'era industriale, raggiungendo le 560 parti per milione in volume, con gravissime conseguenze per lo stato dell'ambiente.
In tema di influenze delle attività umane nei riguardi del clima, scienziati russi hanno accertato di recente che, contrariamente a quanto si riteneva fino ad una decina di anni fa, gli esperimenti nucleari influenzano anche il clima della Terra. Le esplosioni nucleari sprigionano nella stratosfera gli ossidi di azoto. Tali ossidi, assorbendo la radiazione solare, determinano un raffreddamento al suolo. Ciò spiegherebbe i freddi inverni del 1962 e del 1963, durante i quali furono effettuati numerosi esperimenti nucleari, sia da parte dei russi, sia da parte degli americani. Sempre a proposito di attività umane nocive per il clima, una teoria prende in considerazione lo schermo alla radiazione solare causato dalle polveri emesse nell'atmosfera dalle ciminiere degli stabilimenti industriali.
Un tale schermo, paragonabile a quello esercitato dalle polveri vulcaniche, blocca una parte del calore proveniente dal Sole, causando così il raffreddamento del suolo. Un'altra teoria attribuisce invece una importanza primaria all'accumulo di anidride carbonica nell'atmosfera, sia a causa della combustione di materiali fossili, sia a causa della distruzione delle grandi foreste equatoriali. Tali scempi rendono praticamente impossibile lo smaltimento nell'aria delle eccedenze di anidride carbonica. Basti pensare, a questo riguardo, che ogni anno vengono bruciate 5 miliardi di tonnellate di carbonio sotto forma di combustibili fossili e ogni tonnellata di carbonio produce a sua volta 37 tonnellate di anidride carbonica, così ogni anno vengono immesse nell'atmosfera 185 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Poiché oggi vengono bruciati combustibili fossili in minor tempo di quanto ne occorra agli oceani per assorbire tutta l'anidride carbonica immessa nell'atmosfera, il risultato è che circa la metà dell'anidride carbonica dovuta alle attività umane rimane nell'aria, contribuendo in modo determinante al cosiddetto effetto serra.
Si può concludere che l'effetto serra è da attribuire per il 50% circa all'anidride carbonica (C02) e alla deforestazione e per l'altro 50% ai clorofluorocarburi (CFC), al metano (CH4), al protossido di azoto (N20) e all'ozono troposferico (O3). Quest'ultimo, come è noto, è presente nei bassi strati ed è dovuto in parte ai gas di scarico delle automobili e in parte a reazioni chimiche in particolari condizioni di temperatura e di luminosità. A proposito delle grandi mutevolezze del tempo, i climatologi ritengono di avere individuato, nell'aumento della concentrazione di anidride carbonica nell'aria e di conseguenza nel relativo effetto serra, il motivo principale dell'attuale forte instabilità climatica.
A loro giudizio l'effetto serra, oltre a costituire il fattore principale nel surriscaldamento del pianeta, agirebbe anche sulla circolazione generale dell'atmosfera, influenzando, attraverso incrementi di energia dell'ordine dell'1% rispetto all'energia del Sole, la normale evoluzione dei sistemi atmosferici all'origine delle vicende del tempo quotidiano. Si tratta in definitiva di una vera e propria interferenza nel ciclo vitale delle depressioni mobili, nelle correnti occidentali delle medie latitudini e nella evoluzione dei cicloni tropicali. Un raddoppio della concentrazione di anidride carbonica nell'aria in cinquanta, massimo cento anni, farebbe aumentare la temperatura della Terra in media di due o tre gradi centigradi, valore che a latitudini polari potrebbe anche triplicarsi, con gravi ripercussioni sull'aumento del livello medio degli oceani in seguito alla probabile fusione dei ghiacci.
Da una quindicina d'anni a complicare la vita sul pianeta è intervenuto il buco dell'ozono, vale a dire un assottigliamento dello strato di ozono presente nella stratosfera. La causa di un tale fenomeno è da ricercare nell'impiego da parte dell'uomo, nel corso degli ultimi vent'anni, dei clorofluorocarburi. Questi, una volta raggiunta la stratosfera, sotto l'azione dei raggi ultravioletti vengono decomposti al punito che una sola molecola di cloro distrugge migliaia di molecole di ozono, con gravi ripercussioni, per anni, sulla fascia di ozono che la natura ha posto a difesa naturale del pianeta dalla gamma delle radiazioni nocive dell'ultravioletto.
Secondo gli esperti del clima, guardando in avanti ai prossimi cinquanta - cento anni, l'effetto serra da anidride carbonica è da considerare come la questione ambientale più preoccupante che l'umanità si trovi ad affrontare, più preoccupante di quanto lo siano le eventuali fughe radioattive dalle centrali nucleari che, a prescindere da altre considerazioni sul loro grado di sicurezza, non producendo anidride carbonica non incidono sull'effetto serra. Il rapido aumento dell'effetto serra per cause antropiche arreca danni all'ecologia, alla produzione alimentare e alle riserve d'acqua nel mondo, tanto per citare gli aspetti principali di certe rovine; ma potrebbe addirittura riuscire a sopraffare anche quei processi climatici d'ordine naturale, secondo i quali sarebbe invece lecito attendersi l'inizio di un periodo freddo della Terra, se non addirittura una miniglaciazione. I modelli matematici in esperimento per le previsioni climatiche a lungo termine mettono in evidenza, oltre all'aumento delle temperature, anche l'aumento delle precipitazioni, talmente intense e persistenti da assumere spesso carattere alluvionale.
Tali precipitazioni possono causare conseguenze così gravi da ripercuotersi seriamente sui raccolti delle grandi aziende agricole, specialmente di quelle impostate sui principi della monocoltura. Qualora non si adottino adeguati provvedimenti a carattere globale a difesa del clima, devastazioni di inimmaginabili proporzioni potrebbero seriamente colpire l'umanità nel giro dei prossimi cinquanta o cento anni, un attimo nella storia del pianeta. Un salto climatico come quello ipotizzato dagli studiosi delle variazioni climatiche non si è mai verificato tanto rapidamente nella storia della Terra. In altri termini, se non si limiteranno le emissioni di gas ad effetto serra e se la temperatura media della Terra continuerà ad aumentare al ritmo attuale, pari a tre decimi dì grado ogni decade, nei prossimi cento anni, con circa tre gradi di aumento della temperatura media del pianeta, gli ambienti naturali verrebbero totalmente sconvolti. Il livello di estinzione delle specie potrebbe paragonarsi a quello che segnò la fine dei dinosauri, con l'aggravante però che tale mutamento climatico alerebbe questa volta in un tempo talmente breve da non trovare raffronti nella storia delle variazioni climatiche della Terra.