Nei prossimi giorni saranno le correnti atlantiche ad avere in mano le redini del tempo che si susseguirà sul bacino centro-occidentale del Mediterraneo e sui paesi che vi si affacciano. Il flusso, che in questo caso definiamo «zonale», sarà definito dalla successione di ondulazioni che andranno a definire uno stato del tempo complessivamente variabile, cioè costituito da un’alternanza tra fasi più stabili e soleggiate e altre più incerte che saranno dispensatrici di qualche pioggia. Sarà come se la dinamica dell’atmosfera si comportasse seguendo il movimento delle onde del mare: la situazione prevista a scala sinottica per l’inizio della prossima settimana ne dà una chiara rappresentazione (fig. 1) con un’alternanza tra cavi e creste che, diventando rispettivamente sede di centri di bassa e di alta pressione, andranno anche a definire le aree in cui si collocherà una perturbazione.
Se non vivessimo in un Mare Nostrum circondato da orografia complessa non ci sarebbe nulla da aggiungere a questa descrizione perché il flusso occidentale è quello necessario per vedere la primavera svolgere il proprio lavoro: quello di portare le piogge. Invece, per quanto lo schema sinottico sia promettente nelle linee generali, il limitato sviluppo meridiano delle saccature da un lato e la rincorsa a seguire delle creste anticicloniche dall’altro porranno ancora le regioni nord-occidentali al limite dei fenomeni più organizzati, come quelli che accompagneranno per esempio l’evoluzione della perturbazione attesa tra lunedì 13 e martedì 14.
Purtroppo ci troveremo ancora dinnanzi a un’evoluzione poco promettente per questa area dell'Italia non solo perché l’atmosfera avrà a disposizione spazi angusti per organizzare un peggioramento del tempo strutturato e capace di coinvolgere appieno anche queste regioni, ma soprattutto perché l’esperienza insegna che trovarsi in una situazione in bilico a 4-5 giorni di distanza da un possibile passaggio piovoso significa trovarsi in una situazione in cui i successivi ricalcoli da parte dei modelli numerici potrebbero ridistribuire le precipitazioni anche spostando più a est le aree piovose (fig. 2): 100-200 di chilometri, alla distanza temporale a cui ci troviamo oggi, non sono nulla per il modello ma fanno la differenza tra avere un accumulo di pochi millimetri o uno non trascurabile che non risolverebbe comunque il problema della siccità, ma che sarebbe sempre meglio di niente.