In uno degli articoli pubblicati qualche settimana fa avevo detto che le analisi e le disamine trattate su questa pagina si concentrano prevalentemente sullo studio della dinamica in troposfera perché è lo spazio della colonna atmosferica in cui si sviluppano i nostri fenomeni meteorologici. Non che quello che accade alle quote superiori non sia interessante, ma spesso ci ritroviamo a veder scorrere fiumi di parole per poi arrivare, quanto a sostanza, a raccogliere in troposfera poco o nulla sugli effetti delle dinamiche che caratterizzano le quote più alte. Stare con la testa in stratosfera e i piedi poco ancorati in troposfera si finisce quasi per vivere in un altro mondo che può anche arrivare a condizionare il nostro tempo, ma senza che tutte le volte diventi una diretta conseguenza come se fosse un percorso da cui si deve per forza passare.Il primo meteorologo che parlò di riscaldamento stratosferico polare (stratwarming) fu Andrea Baroni alla fine del dicembre del 1984, nella celebre trasmissione «Che tempo fa»: annunciando quell’evento, il Generale disse che sarebbe stato il precursore dell’ondata di gelo – e quella volta fu davvero gelo! – che poi si verificò nelle prime due settimane del gennaio 1985.
In quel caso la dinamica atmosferica orientò le gelide correnti artiche verso l’Europa e il Mediterraneo, ma non sempre avviene così. Ogni anno si verificano anche più eventi di stratwarming più o meno intensi, ma se fossero dirette le loro conseguenze sul tempo dell’Europa e del Mediterraneo in inverno staremmo qui a parlare più volte di ondate di gelo in arrivo. L’esperienza dovrebbe quindi insegnare di non porre troppa fiducia… nell’alto perché quel riscaldamento può anche trasformarsi in una cocente scottatura. Fatto questo doveroso preambolo, cerchiamo allora di vedere che cosa possiamo dire oggi sull’evoluzione e sulle conseguenze di un nuovo riscaldamento stratosferico polare previsto nei prossimi giorni.
Che l’evento si verifichi è ormai certo perché, proprio a partire da oggi (martedì 24 gennaio), si prevede sulla quota isobarica di 10 hPa un sensibile riscaldamento medio del volume d’aria tra i 60° e i 90° di latitudine nord (fig. 1, sopra). L’apporto di aria calda, come avviene anche in troposfera, determinerà un rigonfiamento delle superfici isobariche e quindi darà forma a un anticiclone polare che andrà a modificare, conseguentemente, la direzione del flusso nell’area di sua competenza, da antiorario (rotazione ciclonica) a orario (rotazione anticiclonica). Poiché la rotazione anticiclonica va ad impostare un flusso antizonale (da est verso ovest), è ovvio attendersi mediamente un calo delle velocità zonali (da ovest verso est) che invece caratterizzano la circolazione del vortice polare stratosferico (VPS): ecco quindi il motivo della previsione del calo di intensità del vento zonale medio sulla medesima quota isobarica (fig. 1, sotto).