La neve in pianura è uno degli argomenti più gettonati durante la stagione invernale perché, come si può bene immaginare, genera molto interesse e quindi attira l’attenzione dell’utenza. Stiamo però parlando di una idrometeora che, per conservarsi fino al suolo mantenendo intatta la propria veste bianca, ha bisogno di un perfetto incastro dei valori delle grandezze atmosferiche. In altre parole, per avere la neve in pianura l’atmosfera deve sedersi a tavolino e dosare al meglio tutti gli ingredienti: tra i più importanti ricordiamo la temperatura nei vari strati atmosferici che partendo da 1500 metri arrivano fino al suolo, il contenuto di umidità nell’aria e l’intensità della precipitazione.
Dal momento che l’equilibrio circa il mantenimento dei fiocchi fino alle quote di pianura è spesso precario, il limite pioggia-neve corre molto spesso sul filo del rasoio e di conseguenza una previsione relativa a ipotetiche nevicate in pianura, illustrata a distanze temporali che arrivano ancora ad una settimana, sono affette da incertezze anche notevoli. Basti per esempio pensare che per solo mezzo grado il fiocco fonde e diventa una goccia di pioggia. C’è però un aspetto su cui possiamo discutere e riguarda il perché, seppur stiamo parlando di un’evoluzione che ad oggi arriva ad una distanza temporale di una settimana, la modellistica numerica possiede nel ventaglio dei numerosi scenari calcolati anche quelli che prendono in considerazione questa ipotesi. Guardiamo allora il disegno barico previsto verso la metà della prossima settimana (vedi figura). Sulla quota isobarica di 500 hPa, cioè a circa 5500 metri di quota, si osserva l’ingresso sull’Europa centro-occidentale di una nuova saccatura atlantica: si tratta del terzo impulso di questo mese, dopo quello che transiterà alle nostre latitudini tra il 4 e il 6 dicembre, di cui abbiamo già fatto cenno nelle precedenti analisi. Sebbene l’impianto sinottico sia ancora caratterizzato da incertezza che riguarda essenzialmente l’entità dell’affondo della saccatura, è comunque probabile che una tale dinamica a grande scala predisponga la formazione al suolo di una depressione sui nostri mari di ponente e l’intensificazione di un flusso meridionale, oscillante tra ostro e scirocco.
Andrea Corigliano, fisico dell'atmosfera