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Attenzione ai raggi ultravioletti!

Estate, mare, montagna. Spesso sinonimi di abbronzatura, che sembra diventare una priorità. E così appena possono molti se ne stanno ore e ore al Sole, non solo al mare, ma anche in montagna, ritenendo che per la pelle sia un toccasana.


E' vero, il Sole fa bene, in particolare i raggi ultravioletti, UV, promuovono la formazione della vitamina D, che a sua volta rende possibile fissare il Calcio nelle ossa.

Ma gli stessi UV, presi in dosi eccessive, possono nella migliore delle ipotesi provocare scottature. Nella peggiore, sono cancerogeni (tumori della pelle: i melanomi).

Perché la pelle si abbronza?

Il Sole emette onde elettromagnetiche, dalle onde radio fino ai raggi X (nei brillamenti fino ai raggi gamma), passando per microonde, infrarossi, luce visibile e, appunto, ultravioletti. La nostra stella, infatti, comprende praticamente tutte le lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico. Tale lunghezza è inversamente proporzionale alla frequenza dell'onda stessa e ne determina l'energia e gli effetti su sistemi biologici e non. Per questo le radiazioni elettromagnetiche vengono suddivise in gruppi associati a nomi diversi.

In particolare la luce a cui i nostri occhi sono sensibili va dal rosso al violetto. Poi si parla di (infra)rosso, di frequenza cioè inferiore al rosso e che noi non vediamo, ma percepiamo come calore. Di (ultra)violetto, cioè oltre la frequenza del violetto. Quando prendiamo il Sole, alcune cellule della pelle reagiscono solo agli UV e producono melanina, una proteina che protegge l'epidermide dalla radiazione ultravioletta stessa. E' proprio la melanina a rendere la pelle via via più scura.

Tipi di UV

Ma non tutti i raggi ultravioletti sono uguali. Al crescere della frequenza abbiamo infatti:

  • UVA: sono i responsabili dell'abbronzatura. Producono però radicali liberi, invecchiando la pelle. Nello spettro elettromagnetico vanno dai 320 ai 400 nm (nanometri, miliardesimi di metro) e rappresentano il 94% degli UV che raggiungono la superficie terrestre.

  • UVB: provocano le scottature se si eccede con l'esposizione al Sole, specie nelle pelli più delicate e nei primi giorni. Con una lunghezza d'onda tra i 280 e i 320 nm, possono essere cancerogeni, danneggiando il DNA delle cellule. Rappresentano di solito il restante 6% degli UV che raggiunge la superficie terrestre.
  • UVC: estremamente pericolosi e cancerogeni. La lunghezza d'onda va dai 200 ai 280 nm e in questo caso vengono "completamente" schermati dall'Ozono stratosferico, del quale però dobbiamo tornarne a parlare fra poco. Ma attenzione: se la sua concentrazione diminuisce dell'1%, aumenta l'incidenza dei raggi UVB di circa il 2%.

Fototipi e consigli per gli acquisti


UV filtrati dallo strato di ozonoAnche la pelle è diversa da persona a persona. Gli effetti dell'esposizione al Sole (e gli eventuali danni) variano a seconda del tipo di epidermide. Per questo nei confronti degli UVA e UVB si classificano alcuni fototipi:

  • Fototipo 1: chi ha questo tipo di pelle (in genere riconoscibili da occhi azzurri e pelle molto chiara e/o lentigginosa) deve rinunciare all'abbronzatura. Tanto non ci riuscirà e anzi rischia di ustionarsi subito.
  • Fototipo 2: pelle chiara, capelli biondi. Si abbronzano poco e rischiano facili scottature.
  • Fototipo 3: si scottano un po', ma si abbronzano. Capelli scuri, pelle meno chiara.
  • Fototipo 4: pelle scura, tipica dei paesi mediterranei. Si abbronzano senza troppi problemi. Rare le scottature.
  • Fototipo 5 e 6: africani e certi asiatici. Pelle scura, quasi nera. Non si abbronzano perché in pratica già lo sono e non si scottano mai.

Evitando di parlare (e usare) di creme abbronzanti (che provocano una produzione artificiale di melanina) e di discutibili lampade rispetto alle quali non entro nel merito, cosa fare dunque per abbronzarsi senza rischi e in modo naturale? I consigli, validi tanto più si ha a che fare con pelle chiara, sono in fondo quelli di sempre e che conoscono un po' tutti, ma che per pigrizia o superficialità, si trascurano:

  1. Alimentazione: abbondanti frutta e verdura, specialmente con beta-carotene (carote, pomodori...) e vitamina C (limoni, fragole...), senza eliminare del tutto i grassi, che servono all'organismo per usare le vitamine liposolubili. E poi niente alcolici, ma molta acqua per l'idratazione.
  2. Tempo di esposizione: i primi giorni esporsi per pochi minuti e controllare come reagisce la pelle. Poi aumentare gradualmente.
  3. Momento di esposizione: evitare le ore centrali della giornata (dalle 11 alle 15), quando cioè il Sole è più alto all'orizzonte, i raggi incontrano meno atmosfera e dunque sono più intensi.
  4. Schermi solari: applicare più volte al giorno creme con fattore di protezione adeguata, partendo da valori alti. La sera idratare la pelle con le creme doposole, anche se non si avvertono fastidi o scottature.

Tenere infine presente che anche sotto l'ombrellone e dentro l'acqua non si è completamente al riparo, anzi, nel caso dell'acqua occorre stare attenti all'effetto "specchio", dovuto a quei raggi solari aggiuntivi causati dal riflesso della superficie del mare, piscina o lago che sia, e all'effetto "lente", quando cioè siamo bagnati. Anche un cielo un po' nuvoloso può sembrare una copertura sufficiente. In realtà una parte di UV passa lo stesso e si sta molto più tempo esposti, perché non sentiamo il calore diretto del Sole (quello però non è dovuto agli UV, ma agli infrarossi!). Inoltre ridurre al minimo cosmetici, profumi e certi farmaci (consultare il medico).

Gli UV e l'Ozono stratosferico

Si è già accennato alla pericolosità degli UVB e soprattutto UVC. I primi perché giungono fino alla superficie terrestre, seppur ridotti; i secondi perché a causa del famoso buco dell'ozono non sono più completamente bloccati, ma possono riuscire in parte ad attraversare l'atmosfera a seconda delle zone geografiche e del periodo dell'anno. E' proprio l'Ozono, infatti, a proteggerci dai raggi ultravioletti. Quello strato di Ozono che si trova per il 90% tra i 15 ei 35 Km di altitudine, nella parte bassa della stratosfera. Un gas la cui molecola è formata da 3 atomi di ossigeno e che al livello troposferico e al suolo è tossico e irritante, ma prezioso invece è il filtro che produce nelle zone alte dell'atmosfera, dove la concentrazione è regolata dalle seguenti reazioni chimiche:

  1. O2 + UVC -> O + O, ovvero parte dell'ossigeno molecolare viene scisso in ossigeno atomico dai raggi ultravioletti di tipo C.
  2. O + O2 -> O3 + calore. Alcune molecole di ossigeno si combinano con atomi di ossigeno formando ozono e producendo calore (per questo la temperatura nella stratosfera inizialmente riaumenta con l'altitudine!)
  3. O3 + UVB -> O2 + O. Le radiazioni solari (stavolta gli UVB) dissociano di nuovo l'ozono.
  4. O3 + O -> 2 O2. Di notte, in assenza dei raggi UV, l'ossigeno monoatomico si ricombina con l'ozono per formare due molecole di ossigeno biatomico.

Andamento negli anni del buco dell'ozono sui cieli dell'Antartide Per mantenere costante la quantità di ozono nella stratosfera (che comunque è legata anche a condizioni meteorologiche) queste reazioni fotochimiche devono essere in equilibrio tra loro. Se non intervengono altri fattori, l'ozono raggiunge quindi un cosiddetto stato stazionario, regolato dalla quantità di luce e di ossigeno presente e soggetto a normali oscillazioni stagionali. Le correnti stratosferiche poi trasportano l'ozono dalle regioni tropicali a quelle polari. Ma le reazioni sono facilmente perturbabili da molecole come i clorofluorocarburi (CFC), i bromurati e gli ossidi di azoto. Negli anni '70 si è infatti assistito a una diminuzione della quantità di ozono nella stratosfera sopra l'Antartide, un vero e proprio "buco" nel già sottile strato di ozono della primavera antartica a causa dell'immissione in atmosfera da parte dell'uomo di massicce quantità di CFC (poi banditi), non tossici e chimicamente inerti e quindi molto usati come liquidi refrigeranti nei frigoriferi e nei condizionatori, come solventi, come propellenti e nella produzione di schiume espanse. Una volta immessi in troposfera però vi rimangono per anni, e sfortunatamente perturbano il delicato equilibrio dinamico dell'ozono, perché il Cloro può diventare un potente catalizzatore. In grado cioè di entrare a far parte delle reazioni chimiche di cui sopra accelerando quella che consuma ozono o decelerando quella che lo produce, con il risultato netto di ridurne la concentrazione media. I clorofluorocarburi provocano una diminuzione primaverile molto massiccia di ozono sull'Antartide. D'inverno infatti (quando al Polo Sud non arriva la luce del Sole) si formano le nubi stratosferiche polari (PSC) perché le temperature scendono sotto i -80°C e allora si formano delle nuvole di acido nitrico triidrato ed acqua. Queste contengono particelle di ghiaccio che promuovono grandi quantità di cloro molecolare gassoso che poi al primo sole primaverile si dissocia formando cloro monoatomico radicale ed innescando così la reazione di catalizzazione con l'ozono. In tarda primavera le nubi stratosferiche polari si dissolvono, i meccanismi di distruzione catalitica si arrestano ed il "buco" quindi si richiude.

 


Esempio di mappa UV Index

Monitoraggio degli indici UV

Il problema del buco dell'ozono non è completamente risolto e naturalmente riguarda anche possibili danni a flora e fauna. Si è inoltre osservato come l’assottigliamento dello strato di ozono interessi anche le medie latitudini. Questo fenomeno non ha una componente stagionale così marcata come nelle regioni polari, ma è stato calcolato che una diminuzione del 10 % dell'ozono può comportare un aumento del 26% dei tumori della pelle. Dunque sono stati creati dei sistemi di monitoraggio e di previsione mediante l'elaborazione di un indice utile per determinare le condizioni a cui ci si troverebbe di fronte in caso di esposizione in una data zona e in un certo periodo dell'anno. Un ottimo e approfondito esempio è dato dal Tropospheric Emission Monitoring Internet Service, TEMIS, di cui riportiamo una tabella che associa i valori dell'indice con le condizioni di esposizione.


Categoria di esposizioneIndice UVRaccomandazioni
Bassa0-2Nessuna protezione
Moderata3-5Protezione richiesta. Nelle ore centrali della giornata evitare l'esposizione diretta
Alta6-7Protezione richiesta. Nelle ore centrali della giornata evitare l'esposizione diretta
Molto alta8-10Protezione richiesta quasi totale. Evitare completamente l'esposizione nelle ore centrali della giornata
Estrema>11Protezione richiesta totale. Evitare completamente l'esposizione nelle ore centrali della giornata

In TEMIS è anche possibile ottenere la previsione sia dell'Indice UV su una data località (basta inserire latitudine e longitudine) sia il DU.
Il cosiddetto ozono colonnare è la quantità di ozono tra una quota data (per esempio il suolo) e il top dell’atmosfera e viene appunto misurata in Unità Dobson (DU). Immaginando di portare la colonna di ozono che si considera a pressione e temperatura standard (1 atm e 0°C), l’altezza della colonna così ottenuta, espressa in millesimi di centimetri, è la misura in Dobson dell’ozono colonnare. Se tutto l’ozono che circonda la terra venisse portato in condizioni standard lo spessore sarebbe solo di circa 0.3/0.4 cm, ovvero 300/400 DU. Tale quantità varia molto con le stagioni e non è simmetrica tra i due emisferi: alle alte latitudini e in inverno-primavera si ha la massima quantità di ozono (a parte il problema dei CFC). La produzione è massima nella stratosfera tropicale (sono i venti poi ad accumulare l'ozono verso i poli) e diminuisce verso le alte latitudini e nella bassa stratosfera. Anche le condizioni meteorologiche, infine, influenzano l’ozono colonnare, che è sensibile alle variazioni di pressione.

Riferimenti e approfondimenti:

TEMIS
Scienze ambientali - Università di Bologna sede di Ravenna
Arpa Valle d'Aosta